LUNA CRESCENTE – Una storia

LUNA CRESCENTE – Una storia

Iggy Pop spinge mentre assisto alla corsa più libera che abbia mai visto. Boom. Lo schermo si tinge di “marcio” mentre lui mette in chiaro subito una cosa: “Well, I’m just a modern guy”. E, in qualche modo, mi ci sento anche io. “Che figo”, penso immediatamente. Mi accorgo subito, già dalla prima scena, che la musica non sarebbe mai stata casuale. Sapete perché? esiste da sempre una correlazione tra questi due elementi, droga e musica. E sapete bene cos’è il fattore in comune: Il viaggio.

*

Quando vidi questo film per la prima volta ero giovane, più giovane. Non avevo alcun obiettivo, alcun rapporto sano, non aspiravo ad alcun futuro perché, in realtà, non lo volevo avere. Ho dei ricordi molto vaghi e confusi, ma ricordo bene che non mi fregava un cazzo né di me, né di chi mi stava attorno. Ero una brutta persona, e non me ne vergogno ad ammetterlo. Non ora, almeno. Scontrosa, maleducata, aggressiva, individualista, e tanto, tanto arrabbiata. Dai, ero fuori di testa, ma davvero eh. Credevo di essere molto libera, nella mia follia. Ero incazzata , volevo che gli altri lo percepissero e mi stessero lontano. “O viaggi al mio ritmo o con me non ci puoi stare”. Questo, per me, era il significato della parola “amicizia”. Non mi importava che qualcuno capisse il mio mondo folleggiante, in fin dei conti nemmeno io l’avevo capito, ma volevo che tutti sapessero che volevo sempre strafare. Era come se ci fosse l’obbligo di non avere mai tempo da perdere, come se stare fermi fosse un peccato. Se stai con me, non giudichi. Questa era la seconda regola. Alla fine, io non lo facevo mai. Stare con me era veramente un lavoro, e quelle poche amiche sopravvissute alla giostra me lo ricordano sempre. Ero letteralmente ingestibile. Mi definivo narcisisticamente unica, e in un certo (malato) senso lo ero. Comunque, quando vidi quella corsa iniziale, mi sembrò tutto tranne quello che era in realtà. Nonostante la mia attitudine leggermente pulp, mi piaceva trovare diverse interpretazioni alle cose che vedevo. E per me quella non era una normale corsa. Quella era esattamente una metafora della posizione sociale di Renton. Lui scappava dalle responsabilità, visibilmente divertito, felice di essere un rifiuto sociale che però, in qualche modo, lo rendeva unico. E lo era. “Io ho scelto di non scegliere”. Quello che pensavo io, quello in cui mi rispecchiavo. “Renton è uno forte, ne sa”, pensai. Tornando a me, non avevo progetti e , come dicevo prima, non li volevo avere. La mia follia la scambiavo come una forza interiore, alla quale potevo appoggiarmi con gli anni a venire. La vedevo come un dono, e mi sentivo libera. Si, Renton. Fanculo scegliere. Mi ricordo quanto prendevo in giro mia sorella. Composta e decisa, studiosa e vogliosa di un futuro sudato. Le dicevo che era da stupidi ed era noioso, non ci vedevo niente di emozionante. E lei, ogni volta che mi incontrava, mi guardava con un’espressione schifata, la stessa che ora, ripensandoci a distanza di tempo, riesce a strapparmi un sorriso. Non ci sopportavamo nelle nostre visioni completamente opposte. La vita, per me, era una giostra che girava a 2000 km orari, per lei, invece, un corridoio di un hotel, pieno di porte. Io ero la folle mentre lei era la “provinciale”, come la definivo io. Lei aveva scelto, e io avevo scelto di non scegliere. Nel mio piccolo, s’intende. Lei si vergognava di me e io di lei. E un po’, ve lo dico, mi piaceva. “Odiami, dai”. Benzina, adrenalina allo stato puro. Se mi concentro, riesco ancora a ricordarmi cosa mi girava dentro: fuoco tagliente.
Non ho fatto mai uso di eroina, ma poco importava. In fin dei conti, il messaggio di Danny Boyle era molto più generico. Avevo fatto uso di altre sostanze, e un po’ riuscivo a rispecchiarmi nei diversi atteggiamenti di Renton, ma non solo. Gli “amici”, dipendenze diverse camuffate sotto sembianze umane, erano in realtà presenze. Tanta gente sola, persa, dolorante, che si incontrava per esorcizzare quel dolore incompreso. Il cosiddetto farsi compagnia, che non significa essere amici. Tipico di chi ha problemi di dipendenze. (E non solo droghe, come ci insegna Begbie). Un gruppo stretto nel quale ci si incontra per venerare un unico Dio, l’unico a cui si permette di camminarti sopra. L’unico in grado di ferirti. Durante il film, mi vennero in mente tanti volti, nomi e cognomi, persone con cui avevo condiviso i miei dolori, inconsapevolmente. In quei momenti mi ricordo di essermi sentita forte, eppure ogni volta che mi piegavo una parte di me se ne andava. Mi sentivo umiliata da me stessa, mi sentivo imbarazzata con me stessa, e provavo lo stesso mentre osservavo persone che stimavo, fare la stessa cosa. Mi imbarazzavo per loro. Da li capii che tutti sono insoddisfatti, come ci mostra Boyle, facendoci entrare nella vita di ogni protagonista. E poi, l’euforia. Quella maledetta euforia artefatta. Quella di Born Slippy, una traccia che riesce a rispedirmi indietro nel tempo. L’unica traccia che mi fa ballare accanto a Renton e mi aiuta a ricordarmi certi stati d’animo.
Io mi sentivo un rifiuto sociale, e in qualche modo lo ero. Intendiamoci, avevo scelto di esserlo. Avevo scelto di non scegliere, no ? E non scegliere può essere maledettamente bello. Mi piaceva che le persone mi schifassero. Ogni volta che vedevo qualche faccia giudicante, pensavo “tu non sei come me”, e ne andavo fiera.

*Mentre scrivo, la mia mente ripercorre un corridoio che non mi appartiene più. Un corridoio lungo e buio, pieno di neon, e musica a palla. Se mi concentro, la cassa dritta mi rimbomba ancora dentro, e mentre avanzo mi dirigo verso una grande sala, dal soffitto alto, dove tutto è possibile e dove esiste solo il presente. Appena entro, mi sento parte della stanza. Non c’è dolore, non c’è rifiuto e non c’è giudizio. Mi batte forte il cuore, fortissimo. E da li, scatta la magia. Balliamo sul mondo, perché tanto non esiste. Ti voglio bene, ti sento, ti amo. Ma solo adesso, una notte, e non di più. Anime perse che si incontrano. “Figli di nessuno”. Giovani, e forse anche un po’ stupidi. Un po’ troppo sensibili. Li ho definiti così nel mio libro.*

Drogarmi in compagnia mi faceva sentire meno in colpa, come poi faceva Renton, nella sua dipendenza da eroina. Lui fu il personaggio che mi fece riflettere sulla definizione del termine “drogato”. Insomma, Trainspotting è un film visto da quel punto di vista, no?
E non ci vedevo nulla di dispregiativo. Mi fece pensare che il drogato, in realtà, non fosse una persona inferiore o cattiva. Certo, quando scattava l’assuefazione si faceva ben pochi scrupoli, ma era una conseguenza fisica e psicologica della sostanza. Renton era un drogato si, ma lo sentivo come un amico. Come una persona incompresa. Alla fine Boyle, in un modo meraviglioso, ci faceva fare una nuotata nelle loro vite. Nel loro gabinetto. A cosa pensano? come scopano? come ballano? cosa mangiano? La famiglia di Renton, fisicamente presente ma mentalmente assente, lo rendeva ancora più solo e vulnerabile. La droga, alla fine, è una fuga da qualcosa. E io, nel mio piccolo, sapevo bene da cosa stavo fuggendo, ma lo scoprii nel tempo, insieme a Renton.
E così, piano piano, il film iniziò a trasformarsi. Come la dipendenza stessa. Il famosissimo “giorno dopo”, iniziò ad apparire sempre più grigio, più marcio, descrivendo una delle cose più deprimenti che, solo coloro che hanno fatto uso di sostanze, capirebbero davvero. Lo specchio dorato creato sulle note di Iggy Pop iniziò a sgretolarsi, lasciandosi mostrare per quello che era davvero, sotto a quelle quattro pennellate di colore. E, nella distruzione, partì un nostalgico Lou Reed. Un colpo al cuore. La corsa verso la “libertà” fu sostituita da una profonda buca. Un -1, oltre la vita stessa. Se la droga è un viaggio, prima o poi deve finire. E finì anche per me, in un modo molto meno drammatico. Non me lo scorderò mai, perché mi cambiò la vita, un po’ come il film di Danny Boyle. Non lo condividerò, ma posso dirvi che è un ricordo al quale accedo ogni volta che credo di sentirmi sopraffatta, per ricordarmi che in realtà non lo sono affatto. Mi ricordo che quel giorno c’era tanto, tantissimo sole. Un sole di Roma in una mattina d’agosto. Un sole che riuscì a illuminare tutto.
Vorrei trovare una conclusione perfetta, perché in fin dei conti è la parte finale quella dove risiedono i veri insegnamenti. Più lo rileggo, più mi rendo conto di non essere riuscita ad arrivare dove volevo, anzi…ma forse il bello è anche questo. Ci sono certe cose, certe sensazioni, che non riuscirò mai a spiegare. E fu per questo motivo, che nell’ultima scena di Trainspotting tutto fu molto più chiaro. Ci misi anni a comprenderne il vero significato, non scattò subito. Insomma, che significava poi quel “scegli la vita”….bello si, ma in che senso? Era dappertutto. Sulla pelle, nei poster, nelle t shirt, sui muri. Ma che voleva dire, in realtà?
La domanda mi perseguitò per molto tempo, finché non decisi di rivederlo a 25 anni, quando ormai non avevo più nulla che mi legasse a quella vecchia vita. No, non è detto che qualcosa scatti dentro. A me successe, e la mia prima psicoterapeuta mi disse di ritenermi una persona molto fortunata. La verità è che, a un certo punto, devi scegliere. Non puoi più rimandare. A un certo punto scopri che la vita stessa è una scelta, nel bene o nel male. Che quel fuoco dentro, a un certo punto, deve tornare indietro da dove è venuto. La vita fa schifo, in realtà. O meglio, non la vita, ma quella che crediamo di vivere. Quella dove è tutto programmato ed obbligatorio. Il lavoro, i soldi, le tasse, la famiglia, l’auto. Ho sempre pensato che ci fossero due diverse tipologie di persone. Ci sono quelle sensibili, e quelle che non lo sono. Facendo parte del primo gruppo, forse per quello, so di essere pensante. E la vita, per le persone sensibili non è mai facile. Si vuole fuggire, forse da se stessi e dal mondo che ci si porta dentro, forse dalla pressione della vita stessa, ma anche da quel capitalismo e ordinarietà che ci si incolla addosso. Credo fosse questo il messaggio di Renton: io mi ribello alla vita. E forse, crescendo, impari che la vita è più forte. “Into the wild” insegnava la stessa cosa, no? Ci insegnava che a vivere liberi, senza essere schiavi del denaro e del sistema, si muore. Mi ha sempre fatto riflettere quel finale. E allora Renton decide di non morire, “riga dritto”. Sceglie quello che poi andrebbe comunque scelto. Dopo un giro immenso, finisce per imboccare la stessa noiosa strada di mia sorella. E così, nel mio piccolo, lo feci anch’io. Si, mi capita spesso di avere nostalgia di quella libertà, di quel corridoio buio. Ma poi mi ricordo che quella stanza era una stanza effimera, mi ricordo che in realtà non esiste, mi ricordo che nel buio sembra tutto più magico. A volte mi manca quel fottuto corridoio, perché sono consapevole che certe sensazioni fisiche non le proverò mai più. O almeno, ne proverò di diverse ma non così acute. Eppure, dopo tanti anni di serate e di ambienti puliti, non sono ancora riuscita a riavere indietro quella Valentina, e quel senso di libertà che mi riempiva il vuoto che avevo nel cuore. Ma forse è anche giusto così. Ora quel vuoto me lo riempo da sola, quel vuoto che ho provato a colmare anche con l’anoressia. E allora ti adatti, prendi la scala e scendi al piano terra, con gli occhi bassi. Ho perso. Non esiste alcun piano superiore, ma solo quello che possiamo vedere tutti. Torni alla realtà, quella che avevi sempre schifato e ripudiato. Scegli, perché non scegliere non è più possibile. Non scegliere “kills” , e scegliere, in un certo modo, anche. Scegliere uccidere cerebralmente. Ma bisognerà pur vivere, no?
E si, anch’io sono cattiva. Ho voltato le spalle a tutti, per scegliere. Sono sparita. Sono cattiva, così tanto che lo rifarei altre mille volte. Sono ripartita nello stesso modo in cui tutto è iniziato: da sola. Sarò mai felice? Non lo so. Ma alla fine che cos’era se non un sogno? Un mondo artificiale dalle fondamenta di nebbia, costruito per non soffrire più. Ma crescere significa anche questo no? Dico avere a che fare con la paura, con i propri demoni, crescere significa, anche, diventare un po’ egoisti. E quella vena di cinismo, quella vena ribelle ci sarà sempre, so di non averla persa. Ma ora è mia alleata, e non mia nemica. So che ora posso fidarmi nuovamente di me.
Beh, se la vita è più forte, non voglio dargli una giustificazione in più per farmi fuori.
Ho imparato a correre ancora, ma in un modo diverso.
Con Iggy, si.
Questa è la storia di come ho capito Trainspotting.
Ora si che ho qualcosa da perdere.

“Allora perché l’ho fatto? Potrei dare un milione di risposte tutte false. La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l’apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.”

4 Comments
  • Ester Gugliotta
    Posted at 22:49h, 22 Gennaio Rispondi

    Semplicemente toccante.

  • - Giulia
    Posted at 00:24h, 23 Gennaio Rispondi

    Stupendo, aver visto il film, e ora leggere questo testo… brividi ♥️

  • Osvalda Di Prenda
    Posted at 14:38h, 23 Gennaio Rispondi

    Stupendo mi sono emozionata ,mi piace un sacco come scrivi e come mi ha coinvolto il modo di descrivere un film con i tuoi occhi e la tua esperienza . IN molti guardano senza capire e si basano sull’
    Apparenza di ciò che vedono e non sull’ effettivo motivo o stato d animo di una persona .MI e’ piaciuto come hai descritto il nostro mondo fatto di obblighi e responsabilità ,in cui noi cerchiamo un qualche via per sentirci liberi ,ed ogni individuo cerca a suo modo di trovarne uno,

  • Marika
    Posted at 18:11h, 03 Febbraio Rispondi

    Mi rivedo molto in te e sai perché ?
    La mia vita è andata un po’ come la tua il ho 29 anni qualcuno più di te ma credimi abbiamo vissuto più o meno situazioni uguali o simili, genitori, droghe anoressia, scappare da un qualcosa che poi nn sai mai davvero da cosa, in terapia ormai da tre anni pulita e nn più anoressica, ma il vuoto che ti resta è incolmabile o almeno ancora nn riesco forse a riempirlo, leggendoti, ovviamente dal blog al libro , riesco a percepire di non essere sola perché solo chi ha provato può capire come ci si sente davvero, e anche se non ci conosciamo non siamo vicine fisicamente riesco a percepire L’ Unione ! Grazie a te che ci dai modo di non sentirci sole! Siamo grandi in tutto e per tutto perché dopo quel corridoio buio come dici tu abbiamo visto la luce !!!

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